Ogni declinazione puramente razionale del fenomeno religioso rischia di proiettare un cono d’ombra sul contenuto estetico-spirituale della fede vissuta. Per una teologia attenta a questo rischio, l’attuale diffuso interesse nei confronti dell’estetica non può che apparire come un’occasione privilegiata, in grado di aprire spazi inediti all’approfondimento delle culture religiose e al dialogo tra le fedi. È in questo contesto che acquista valore il riferimento alla produzione e fruizione d’arte, a condizione però che l’attinenza tra arte e religione non venga fraintesa, come un tentativo antimoderno di contrapporre le immagini tradizionali del mondo alle pretese di una ragione freddamente funzionale. L’accostamento proposto nel presente volume è più profondo e stimolante, in quanto implica una riflessione critica sulle forme della visibilità del divino nella storia che scavi oltre le nostre immagini provvisorie. In quanto processo metaforico vivo e aperto, l’arte crea spazi di senso e articola le esigenze rappresentative della religiosità, proteggendola dalle volgarizzazioni impersonali e dalle formule stereotipate.

Davide Zordan ha conseguito il dottorato in teologia sistematica presso l'Institut d'Études Théologiques di Bruxelles nel 2004. Attualmente è ricercatore presso il Centro per le Scienze Religiose dell'Istituto Trentino di Cultura, dove si occupa del rapporto tra la teologia fondamentale e l'estetica come teoria dell'esperienza. Tra i suoi interessi specifici, il legame tra la religione e il linguaggio cinematografico.